«CHI È L’UOMO PERCHÉ TE NE CURI?»
(l’antropologia della Gaudium et Spes)

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1. «Un’atmosfera aperta»

L’immagine di papa Giovanni XXIII, l’uomo che ha «voluto» il Concilio Vaticano II (1962-65) «aleggia» sul clima, sull’atmosfera che attraversa tutta la Gaudium et Spes. Quell’invito ad aprire le finestre della grande «casa», che è la Chiesa, per farvi entrare «aria nuova», lo si respira ad ogni pagina del documento conciliare, che raccoglie lo spirito della Pacem in terris (1963) e del discorso di apertura del Concilio stesso, l’11 ottobre 1962, che Giovanni XXIII dedica a tutti coloro che accettano di guardare con simpatia e speranza al futu-ro dell’umanità.
In particolare ci sono quattro atteggiamenti-sensibilità che emergono come caratteristiche peculiari della Gaudium et Spes: l’atteggiamento dialogale, la visione positiva del mondo dell’uomo, la disponibilità all’autocritica della Chiesa stessa, che si riconosce «semper sanc-ta», ma anche «semper meretrix», e la rivendicazione di poter operare come «voce pubblica» nell’interesse di tutti gli uomini e le donne del mondo.

a) L’atteggiamento dialogale. Il dialogo è uno dei concetti fondamentali del Concilio Vaticano II e delle discussioni postconciliari. (Si vedano i nn. 3, 19, 21, 25, 40, 43, 56, 85, 90, 92). Come sarà poi indicato da papa Paolo VI nella sua prima enciclica Ecclesiam suam (1964), si parla di dialogo nella Chiesa, con le altre Chiese e comunità ecclesiali, con le religioni non cristiane e con il mondo di oggi (con le donne e gli uomini immersi in una storia in rapidissimo mutamento). Significativi in proposito sono anche i messaggi del Concilio all’umanità: ai governanti, agli uomini di pensiero e di scienza, alle donne, agli artisti, ai poveri e agli ammalati, ai lavoratori, ai giovani, proposti alla fine dell’assemblea ecumenica. «Nulla di ciò che è umano è estraneo alla riflessione della Chiesa» – dichiara il Concilio, accettando il dialogo come «dimostrazione di solidarietà, di rispetto e di amore nei riguardi dell’intera famiglia umana» (n. 3).

b) La visione positiva del mondo dell’uomo. Ciò significa che il Concilio getta uno sguardo molto realistico sugli aspetti critici del mondo moderno, ma non afferma più con toni apocalittici che tutto il mondo è male, quasi opera del maligno («profeti di sventura» chiama Giovanni XXIII coloro che annunciano sempre eventi infausti, quasi che incomba la fine del mondo!). Piuttosto esso sa riconoscere anche ciò che esiste di positivo, cioè gli sforzi di tanti di rendere «umana» la storia!

c) La disponibilità all’autocritica della Chiesa stessa, come elemento necessario ad ogni dialogo. Essa non vede la colpa soltanto negli altri, ma riconosce la corresponsabilità dei cristiani nella conduzione della storia e dei suoi errori. Per il Concilio, ad esempio, l’ateismo moderno (n. 19) è in parte generato dai credenti, che «nascondono e non manifestano il ge-nuino volto di Dio e della religione» o con dottrine fallaci o per «i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale». Si potrebbe dire che questo atteggiamento dell’assise ecumenica ha anticipato coraggiosamente il «mea culpa» (il «nostra culpa») di Giovanni Paolo II.

d) La Chiesa come «voce pubblica» degli interessi dell’umanità. Ciò significa che il Concilio rivendica alla comunità cristiana un ruolo pubblico, opponendosi a tutti i tentativi di limitare il campo d’interesse e d’azione a faccende meramente interne, relegandola, per così dire, in «sagrestia».
La Chiesa del Vaticano II non si lascia ghettizzare e ridurre a una dimensione puramente intima e personale; essa rivendica una voce pubblica, non per il proprio interesse, ma nell’interesse di tutta l’umanità. Dice infatti la Gaudium et Spes: «È l’uomo dunque, l’uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l’uomo cuore e coscienza, pen-siero e volontà, che sarà il cardine della nostra esposizione» (n. 3). Il Concilio si interroga sulle questioni fondamentali dell’esistenza: «Che cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Che cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che cosa apporta l’uomo alla società, e che cosa può attendersi da essa? Che cosa ci sarà dopo questa vita?» (n. 10).

2. Il dramma dell’uomo moderno visto dalla Gaudium et Spes (n. 8, 9, 10)

Non si tratta di una descrizione esaustiva della «fatica esistenziale» delle donne e degli uomini del ventesimo secolo, ma di una presa d’atto di ciò che rende difficile l’orientamento in un mondo soggetto a profonde trasformazioni: «L’umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si esten-dono all’insieme del globo» (n. 4).
Il Concilio prende atto di vari fattori: da una parte una ricchezza assai superiore al pas-sato e, dall’altra parte, fame e miseria, una crescente esigenza di libertà, accanto a un asser-vimento sociale e fisico, una dipendenza reciproca accanto a forze in conflitto, tensioni tra razze e gruppi sociali, una crescente socializzazione non accompagnata da una crescente personalizzazione, l’erosione dei valori tradizionali, l’indifferenza religiosa, la crisi latente della famiglia, le rivendicazioni di pari opportunità da parte delle donne (n. 29 e 52) e, infine, altrettanto importante, la lacerazione interna dell’uomo, per quel suo «deposito» di male, di «peccato» che egli porta con sé. Come si può vedere, sono problemi e «drammi» che ci per-mettono di cogliere l’attenzione del Concilio per la storia concreta dell’umanità, un interesse non astratto, ma partecipato e «sofferto» e, sotto un certo punto di vista, «profetico», cioè anticipatore anche di eventi e situazioni che arrivano fino ai nostri giorni.
In particolare la Gaudium et Spes esprime in modo coraggioso e nuovo due convinzioni:

a) L’autonomia legittima delle «cose terrene» (cfr. n. 36, 41, 56, 76), affermando che «le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo deve scoprire, usare e ordinare» (n. 36). Da ciò deriva il riconoscimento dell’autonomia legittima della scienza, della cultura, della politica, attività affidate interamente all’intelligenza e alla responsabilità di ciascuno; – e, di conseguenza, la libertà di azione dei laici nella Chiesa, perché sono loro gli esperti in questi vari campi e sono loro che dispongono delle competenze necessarie per lavo-rare proficuamente in essi.

b) A ciò il Concilio aggiunge la promozione dei diritti umani e la condanna di ogni forma di discriminazione (n. 21, 26, 29, 41, 59, 73, 76). Ogni donna, ogni uomo sono creati «a immagine e somiglianza» (Genesi 1, 27) di Dio e in Cristo, «nuovo Adamo», ciascuno può riconoscere la ricchezza della propria umanità e della propria dignità.
La posizione storica assunta dalla Gaudium et Spes a proposito di queste due «convin-zioni» appena espresse diventa un punto di riferimento fondamentale per poter affermare che anche per la Chiesa è finita la nostalgia romantica del medioevo e della sua cultura uniforme; è finita la mentalità restauratrice impostasi dopo la rivoluzione francese; è finito anche il tri-stemente zelante antimodernismo della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX secolo.
Certo, occorre anche continuamente vigilare, anche dentro la Chiesa, perché non si torni indietro di fronte alla ricorrente tentazione di una «societas christiana» che ridìa ruolo e pre-stigio all’istituzione e ripresenti la sua sfiducia e il suo sospetto nei confronti della realtà laica e secolarizzata. L’integralismo resta pur sempre un pericolo reale anche nel nostro tempo. Alla Chiesa è pur sempre offerto un ruolo e un compito: quello di essere lievito di libertà e di giustizia dentro il continuo e rapido fluire degli eventi. Come segno e salvaguardia della per-sona umana essa è chiamata a promuovere «l’uomo», da «maestra di umanità» come l’ha chiamata Paolo VI nel suo grande discorso all’ONU il 4 ottobre 1965.

3. «L’antropologia» della Gaudium et Spes

«Tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo come a suo centro e a suo vertice» (n. 12). È questa sensibilità che la Gaudium et Spes esprime in maniera così netta che ci fa dire che il documento conciliare aderisce pienamente a quella che viene chiamata la «svolta antropologica» tipica della modernità: è la visione dell’«homo faber fortunae suae», della libertà e dell’autonomia delle donne e degli uomini nella conduzione della propria vita.
È la prima volta che all’interno della comunità cristiana si sviluppa una antropologia
coerente e strutturata, in sintonia con molti pensieri e riflessioni tipiche del Novecento filoso-fico (M. Scheler, H. Bergson, M. Heidegger, S. Weil, E. Mounier, la scuola di Francoforte, J.P. Sartre, G. Marcel, ecc. ecc.).
In questa nostra ricerca non ci è possibile entrare nel merito di tutte le affermazioni an-tropologiche della Costituzione conciliare e commentarle nel dettaglio. Mi limiterò, perciò, ad alcuni punti caratteristici, identificabili in quattro «aspetti».

a) Il primo è l’acuta coscienza del dramma dell’esistenza umana. Con Blaise Pascal anche il Concilio dice che grandeur et misère dell’uomo vanno di pari passo e che la grandezza dell’uomo consiste proprio nella consapevolezza della sua miseria. Con tale visione realistica e drammatica, la Gaudium et Spes si discosta dalla visione parziale e ottimistica dell’Illuminismo, che crede nella bontà naturale dell’uomo, guastata solo dall’educazione e dai rapporti sociali (J.J. Rousseau).
Scrive il Concilio: «Così l’uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita
umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo, e scacciando fuori “il principe di questo mondo” (cfr. Io. 12, 31), che lo teneva schiavo del peccato. Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza.
Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione e sia la profonda miseria, che gli uomini sperimentano» (n. 13).

b) Il secondo aspetto è la visione unitaria dell’uomo come unione di anima e di corpo e come essere sociale e relazionale. Il Concilio difende espressamente la dignità del corpo, opponendosi a interpretazioni spiritualistiche riduttive che danno origine a forme difettose di pietà e di ascesi. Così come esso ritiene che l’uomo trascenda l’universo delle cose grazie alla sua razionalità (n. 15).
Esso scrive: «Unità di anima e di corpo, l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condi-zione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in libertà il Creatore.
Allora, non è lecito all’uomo disprezzare la vita corporale; egli anzi è tenuto a conside-rare buono e degno di onore il proprio corpo, appunto perché creato da Dio e destinato alla risurrezione nell’ultimo giorno. E tuttavia, ferito dal peccato, l’uomo sperimenta le ribellioni del corpo. Perciò è la dignità stessa dell’uomo che postula che egli glorifichi Dio nel proprio corpo, e che non permetta che esso si renda schiavo delle perverse inclinazioni del cuore.
L’uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l’universo: in quelle profondità egli torna, quando si volge al cuore, là dove lo aspetta Dio, che scruta i cuori, là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino. Perciò, riconoscendo di avere un’anima spirituale e immortale, non si lascia illudere da fallaci finzioni che fluiscono unicamente dalle condizioni fisiche e sociali, ma invece va a toccare in profondo la verità stessa delle cose» (n. 14).
Della natura spirituale dell’uomo fa parte anche la sua libertà, richiesta dalla stessa di-gnità dell’uomo, che porta con sé «che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna» (n. 17).
E, contemporaneamente, fa parte della sua natura anche il suo essere dialogico, in rela-zione con Dio e con i suoi simili, così che vengono valorizzati tutti gli atteggiamenti di aper-tura all’altro, compresa la sessualità, la vita di coppia, l’amicizia, la solidarietà, il rispetto tra le persone.

c) Il terzo aspetto è forse quello più innovativo e nuovo per la storia della Chiesa catto-lica: la questione della coscienza personale, che la Costituzione conciliare definisce «come il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nel-l’intimità» (n. 16). In queste affermazioni ritroviamo il pensiero del grande teologo moderno John Henry Newman (1801-1890): «Dio e l’anima, cor ad cor loquitur, solus cum solo», ma anche la sensibilità di don Primo Mazzolari, antesignano in questo del Concilio Vaticano II.
Scrive il Concilio: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato.
La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito alla abitudine del peccato» (n. 16).
Mi piace qui anche citare una riflessione di un testimone qualificato del Concilio, con-vocato allora come esperto teologo, Joseph Ratzinger, che scrive: «Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dell’autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell’autorità ecclesiastica. L’enfasi sull’individuo, a cui la coscienza si fa innanzi come supremo e ultimo tribunale, e che in ultima istanza è al di là di ogni pretesa da parte di gruppi sociali, compresa la Chiesa ufficiale, stabilisce inoltre un principio che si oppone al crescente totalitarismo».
E mi piace qui anche ricordare che la coscienza, nella sua profondità, è chiamata a ri-spondere, per «realizzare» se stessa, a quattro «grandi» fedeltà: a se stessi, alla «legge scritta nel cuore», alla storia presente e all’esperienza morale e culturale dell’umanità e, per i credenti, della Chiesa e la sua tradizione.

d) E c’è un quarto aspetto dell’antropologia del Concilio: il suo «ancoraggio» (fonda-mento) cristologico. Scrive la Gaudium et Spes: «Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (n. 22). Pertanto Cristo non è solo la rivelazione del Padre; egli rivela anche l’uomo a se stesso. Chiunque segue Gesù di Nazareth, l’uomo dall’umanità bella, buona, beata, diventa anch’egli più uomo, una nuova creatura per il Regno di Dio, cioè per la giustizia, la libertà, la pace.
Scrive il Concilio: «Il cristiano, poi, reso conforme all’immagine del Figlio che è il Primogenito tra molti fratelli, riceve “le primizie dello Spirito” (Rom. 8, 23), per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell’amore. In virtù di questo Spirito, che è il “pegno della eredità” (Efes. 1, 14), tutto l’uomo viene interiormente rifatto, fino al traguardo della “reden-zione del corpo” (Rom. 8, 23): “Se in voi dimora lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù da morte, Egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, a motivo del suo Spirito che abita in voi” (Rom. 8, 11). Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subìre la morte; ma associato al mistero pasquale, come si assimila alla morte di Cristo, così anche andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza.
E ciò non vale solamente per i cristiani ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina, perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mi-stero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell’uomo, che chiaro si rivela agli occhi dei credenti, at-traverso la Rivelazione cristiana. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte Egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione a noi ha fatto dono della vita, perché anche noi diventando figli col Figlio possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre».

4. Piccola conclusione

Nonostante i suoi limiti (anch’essa è un documento «datato») la Gaudium et Spes ha fornito, come si è potuto constatare, un nuovo e importante orientamento per la comunità cristiana nel suo cammino verso il XXI secolo e il terzo Millennio. Essa ha abbandonato l’atteggiamento difensivo e restauratore assunto dalla Chiesa a partire dalla rivoluzione fran-cese. Il Concilio si è sforzato di superare, nei confronti della società, visioni ormai obsolete, che erano il risultato di specifiche condizioni storiche e ha cercato di gettare i fondamenti di una nuova inculturazione del Cristianesimo nel mondo moderno.
Come scrive il cardinale Walter Kasper, «in questo senso la Costituzione ha aderito ad una realtà post-illuminista, libera e democratica, riconoscendo concretamente la legittima autonomia della cultura, i diritti umani, la libertà di coscienza e di religione. Ma non lo ha fatto tanto per adeguarsi alla situazione. I passi che ha intrapreso, non li ha compiuti per forza, dovendo accettare e approvare sviluppi che avevano già avuto luogo, ma li ha compiuti in modo indipendente a partire dai propri princìpi, mantenendo uno sguardo critico. Essa ci ha mostrato che noi cristiani non abbiamo nessun motivo di giudicare gli sviluppi moderni sol-tanto in modo negativo, secondo un’ottica parziale e generalizzante. È bene allora seguire l’invito dell’apostolo Paolo: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono” (1 Tess. 5, 21).
Naturalmente, la Costituzione pastorale non poteva precedere il passaggio dal periodo moderno all’attuale situazione post-moderna con le suo nuove sfide e i suoi nuovi problemi. Tale sviluppo ha rimesso in discussione non solo l’eredità cristiana ma anche i grandi ideali del modernismo stesso. L’attuale periodo post-moderno ha perso il legame fra libertà e verità. Soprattutto in Occidente, ha avuto luogo un processo di sfaldamento dei valori tradizionali ed un’ampia perdita di orientamento. Il Concilio non poteva certo prevedere tutte le conseguenze della decolonizzazione e dell’emancipazione del terzo mondo. La tesi dell’indipendenza della Chiesa da una cultura concreta o da un sistema politico specifico (cfr. n. 42) avrebbe avuto in tali paesi un fortissimo impatto e avrebbe condotto all’abbandono dell’eurocentrismo tradi-zionale. La Costituzione pastorale ha pertanto contribuito a dare una nuova forma per così dire cattolica alla Chiesa universale; grazie ad essa, la Chiesa è diventata per la prima volta in modo concreto una Chiesa mondiale.
Gli sviluppi futuri, che sono ancora impossibili da prevedere oggi, non devono diventare un viaggio fantasma nell’universo, in cui la Chiesa è come un razzo proiettato nello spazio infinito mentre non c’è più nessuno a terra ad assicurarne il controllo. È necessario saper rileggere la Costituzione pastorale Gaudium et Spes in modo nuovo, riferendosi ai princìpi che essa ha indicato o almeno suggerito; tali princìpi devono essere ulteriormente sviluppati con pazienza e con determinazione tramite un lavoro teologico approfondito, affinché possano essere applicati coraggiosamente alla nuova situazione, in modo sia costruttivo che critico.
Gaudium et Spes, insieme a Dignitatis humanae e ad altri documenti, ha aperto una nuova epoca nella storia della Chiesa nel mezzo di un mondo in rapido mutamento. La Costi-tuzione pastorale ha preparato per il Vangelo la via verso il XXI secolo ricordando e attualiz-zando la frase di uno dei miei preferiti padri della Chiesa, Ireneo di Lione: “La gloria di Dio è l’uomo vivente” (Adv. Haer. IV, 20, 7)».